56.MA BIENNALE DI VENEZIA 2015
[A cura di Giovanni Bai + Carolina Gozzini con Nicoletta Meroni + Mario Tedeschi]
La 56. Esposizione Internazionale
d’Arte All the World’s Futures è curata
da Okwui Enwezor, che presenta «un
progetto dedicato a una nuova valutazione della relazione tra l'arte e gli
artisti nell’attuale stato delle cose ». nel tentativo di «afferrare appieno
l’inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e
articolarla». Una mostra al cui centro«c’è la nozione di esposizione come
palcoscenico» e «permeata da uno strato di filtri sovrapposti, intesi come una
costellazione di parametri che circoscrivono le molteplici idee, che verranno
trattate per immaginare e realizzare una diversità di pratiche».
Il presidente Baratta ricorda
che «La Biennale è una Mostra d'Arte, non una mostra mercato… Oggi, di fronte
ai pericoli di scivolamenti conformistici verso il noto, il consueto e il
sicuro, l'abbiamo denominata [la biennale] la Macchina del desiderio …
riconoscere come necessità primaria e primordiale l'impulso dell'uomo a dare
forma sensibile alle utopie, alle ossessioni, alle ansie, ai desideri, al mondo
ultra sensibile».
Con Codice Italia Vincenzo
Trione si ripropone di «riattraversare significative regioni dell’arte italiana
di oggi, facendo affiorare alcune costanti: assonanze poco manifeste,
corrispondenze inattese…» e presenta quindi «artisti che propongono una
originale declinazione del concetto di avanguardia e si sottraggono alla
dittatura del presente…».
Leone
d'oro per il miglior artista ad Adrian Piper (Usa) Leone d’argento per un promettente giovane artista
della mostra All the World’s Futures a IM Hueng-Soon; tre menzioni
speciali per gli artisti Harun Farocki, Collettivo Abounaddara, Massinissa
Selmani; Leone d’oro alla carriera a El Anatsui (Ghana) e
un Leone d’oro speciale per l’attività svolta a favore delle Arti a Susanne Ghez (USA).
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi |
Leone d’oro per la migliore Partecipazione nazionale alla Repubblica dell’Armenia Armenity / Haiyutioun. Contemporary artists from the Armenian Diaspora allestita all'Isola di San Lazzaro degli Armeni con la seguente motivazione. «Leone d’oro per la migliore Partecipazione nazionale alla Repubblica dell’Armenia per aver creato un padiglione basato su un popolo in diaspora, dove ogni artista si confronta non solo con la sua località specifica, ma anche con il suo retaggio culturale. Il padiglione prende la forma di un palinsesto, con elementi contemporanei inseriti in un sito del patrimonio storico. Nell’anno che segna un’importante pietra miliare per il popolo armeno, questo padiglione rappresenta la tenacia della confluenza e degli scambi transculturali».
Venezia (Arsenale e Giardini), 9
maggio – 22 novembre 2015
[Visita on-line @ http://www.labiennale.org/it/arte/esposizione2015-online/]
ALL THE WORD’S FUTURES
Riuscendo a mantenere però la giusta dose di ingenuità che
spesso coincide con la capacità di dosare, annacquare, l’entusiasmo con il
disincanto, ecco che c’è da ripetere «ne vale sempre la pena». Sì la pena, che
è sicuramente fisica, visti i Km a piedi percorsi, purtroppo, come ogni volta,
in tempi troppo brevi.
Questa edizione offre numerosi esempi di opere disegnate. Il disegno è un ritorno alle origini del fare artistico. Ho visto tanti disegni? Oppure il mio occhio ne era attratto tanto da farmi sembrare che era la tecnica più diffusa?
Gli artisti poveri, soprattutto quelli della rivalsa, del riscatto.
Madhusudhanan di Kerala in India descrive la storia del suo paese o meglio i fatti storici più forti del suo paese segnano la sua opera artistica. Penal Colony, 2014, 19-20 novembre 1921: oltre cento prigionieri ribelli vengono massacrati in un vagone ferroviario dall’esercito imperiale britannico. Il disegno eseguito nel 2014 rievoca la Tragedia del treno, la memoria indiretta, lontana, di un episodio della storia non vissuto, ma assimilato.
A San Lazzaro degli Armeni, Gianikian e Ricci Lucchi
presentano i disegni per il Rotolo Armeno, già ben esposti all’Hangar Bicocca.
Scrittura, disegni e acquerello, segni del racconto narrato dal padre di
Yervant, Raphael, di antiche fiabe armene in lingue diverse, armeno ma anche
turco, curdo, persiano e assiro.
120 anni di storia della Biennale che percorrono il secolo breve e le sue tragedie, attraverso dichiarazioni e fonti politiche e sociali, ma anche e sempre estetiche e simboliche, con l’intento di «scoprire il senso dello sconvolgimento del nostro tempo» dice Enwezor, prima e dopo Marx.
Purtroppo non si coglie l’idea dell’interazione con il pubblico dell’Arena di Adjaye, ma la lettura del Capitale e il palcoscenico che gli sta intorno, ripropone la meditazione sulle fonti, perse tanto spesso, e spinge ad andare avanti, nel futuro, guardando la storia, dando le spalle al guidatore, come fa l’Angelus Novus di Benjamin. [Continua…]
ALL THE WORD’S FUTURES
[di NICOLETTA MERONI - foto MARIO TEDESCHI]
ADRIAN PIPER |
Quando pare di conoscere bene la macchina, è raro esserne
soddisfatti pienamente.
Come «il prete di campagna che viene a contatto con le alte
schiere ecclesiastiche, difficile che la sua vocazione non vacilli» (A. Piperno).
BAKARR MANSARAJ' |
Questa edizione offre numerosi esempi di opere disegnate. Il disegno è un ritorno alle origini del fare artistico. Ho visto tanti disegni? Oppure il mio occhio ne era attratto tanto da farmi sembrare che era la tecnica più diffusa?
Gli artisti poveri, soprattutto quelli della rivalsa, del riscatto.
MADHUSUDHANAN |
Madhusudhanan di Kerala in India descrive la storia del suo paese o meglio i fatti storici più forti del suo paese segnano la sua opera artistica. Penal Colony, 2014, 19-20 novembre 1921: oltre cento prigionieri ribelli vengono massacrati in un vagone ferroviario dall’esercito imperiale britannico. Il disegno eseguito nel 2014 rievoca la Tragedia del treno, la memoria indiretta, lontana, di un episodio della storia non vissuto, ma assimilato.
Il disegno dei sopravvissuti dei campi di sterminio nazista
che ho visto lo scorso maggio a Mauthausen
ha documentato, a volte edulcorato, con la bellezza del tratto, le
bestialità umane. Qui traslato, cita un episodio della grande impresa
dell’Impero britannico.
ROSANA PALAZYAN |
Il disegno punto di partenza e di arrivo, attraverso il
video e la voce paterna registrata.
Il ricamo è un disegno con il filo. Rosana Palazyan ricama
su tessuto con il filo e i suoi capelli frasi che prendono il posto delle
radici di piante infestanti: «sono invasori e devono essere sterminati», «nascono dove non sono volute». Nel giardino del monastero sono collocati i
suoi piccoli lavori in mezzo alle erbacce che crescono spontanee.
Gli erbari di Taryn Simon newyorchese, sono altrettanto
inquietanti, ma da un diverso punto di vista. Fiori che arrivano da ogni dove e
danno un’idea del mercato internazionale della floricoltura, assistono muti ai
grandi incontri e alle firme di accordi e trattati internazionali, sfiorendo e
generando una particolare natura morta politica.
TARYN SIMON |
Sarebbe utile una mappa della Biennale divisa secondo le
tecniche usate dagli artisti. Partirei dal disegno. Ma per un lavoro così
doverosamente filologico non basterebbero i mesi di apertura della Biennale e
questa idea che mi è arrivata dopo la visita, sulla base della memoria, avrebbe
potuto esserne invece lo spirito-guida.
Lasciàti guidare dall’immaginazione, che spesso non fa il
paio con il sentimento, il filo rosso della storia, soprattutto della storia
recente, si rafforza, prende la giusta direzione, anche estetica. I fatti
vicini e lontani nel tempo sono narrati, direbbe Carver, come si descrive una
cattedrale a un cieco «Ma non ci riesco proprio a spiegarti come è fatta una
cattedrale. Non sono proprio capace. Non so fare meglio di così». Il cieco
chiede al vedente di disegnare insieme una cattedrale, la sua mano su quella
dell’amico vedente. Ma quest’ultimo a un certo punto del disegno chiude gli
occhi e prosegue a disegnare, senza vedere.
BARTHÉLÉMY
TOGUO
|
120 anni di storia della Biennale che percorrono il secolo breve e le sue tragedie, attraverso dichiarazioni e fonti politiche e sociali, ma anche e sempre estetiche e simboliche, con l’intento di «scoprire il senso dello sconvolgimento del nostro tempo» dice Enwezor, prima e dopo Marx.
Purtroppo non si coglie l’idea dell’interazione con il pubblico dell’Arena di Adjaye, ma la lettura del Capitale e il palcoscenico che gli sta intorno, ripropone la meditazione sulle fonti, perse tanto spesso, e spinge ad andare avanti, nel futuro, guardando la storia, dando le spalle al guidatore, come fa l’Angelus Novus di Benjamin. [Continua…]
LA BIENNALE IN UN'OPERA
[TXT + FOTO GIOVANNI BAI]
Per
un’arte chiavi in mano: premessa
metodologica. Riassumo brevemente e, molto probabilmente, molto banalmente: nel
corso del secolo scorso abbiamo assistito a una mutazione genetica delle arti
visive, dove le arti classiche si sono contaminate - ma questo era già avvenuto nel secolo
ancora precedente – con le tecniche della riproduzione meccanica. Anche queste
sono divenute, a loro volta, tecniche di produzione artistica. Tra gli ultimi
decenni del novecento e oggi nuove tecnologie hanno ulteriormente mutato lo
statuto di queste forme d’arte, riproponendo il paradigma fondamentale della
bellezza. Qualcuno sostiene – io non ne sono affatto convinto – che tutto sia
già stato fatto e quindi sia lecito copiare; non è certo facile proporre
qualcosa di assolutamente nuovo e spesso, inconsapevolmente si ripercorrono
sentieri già tracciati.
Non
posso che accettare uno dei presupposti di questa Biennale – e forse anche
delle ultime che l’anno preceduta – cioè di «formulare
giudizi estetici sull'arte contemporanea, questione critica dopo la fine delle avanguardie e dell'arte non arte». Nel secolo
scorso avevamo infatti accantonato il problema della bellezza immediata a
favore di quella concettuale. Come accade anche per le Avanguardie storiche,
oggi molte di quelle opere, che continuano a essere fondamentali, forse non ci colpiscono più al cuore. Di
sicuro non con quei brividi che ho provato – nel corso del 2015 – solo davanti
a Friedrich (Caspar David) o a Giotto, ma anche a Venezia grazie a Martial
Raysse.
L’unica
opera che forse mi ha fatto questo effetto alla Biennale era il Muro Occidentale o del
Pianto di Fabio Mauri, anche se, ammetto,
forse
agisce ancora la componente concettuale
- anzi, ideologica – di
quest’opera. Ma è un’opera del secolo scorso, e il suo autore è morto,
purtroppo. Non nego che abbia senso parlare di futuro, o futuri, con opere del
passato, ma, ecco, continuo a pensare che alla Biennale dovremmo trovare solo
opere di artisti viventi. Troppo facile vincere con giganti come Fabio Mauri… E poiché voglio mettere da parte l’ideologia
–
escludendo la ridicola messa in scena del Capitale
– escludo perciò anche le falci, per quanto prive di martelli, del
padiglione olandese.
L’opera su cui – brevemente – mi
soffermerò non è però un ripiego, in quanto l’installazione di Chiharu Shiota The key in the Hand sicuramente possiede
il requisito dell’impatto estetico che, per quanto magari facile, è per me oggi
fondamentale: la cascata rossa (no,
l’ideologia non c’entra) in cui mi immergo mi procura un piacere immediato. Certo,
in altre occasioni il padiglione giapponese mi ha emozionato maggiormente, sia
in senso estetico che concettuale…
Come ben dice il curatore Hitoshi Nakano «la struttura spaziale delle sue installazioni mantiene un senso di bellezza
per eccellenza senza perdere freschezza» trascendendo «i contesti linguistici,
culturali e storici, nonché le circostanze politiche e sociali». Ma, tutto
sommato, mi sembra che in questa opera sia leggibile anche il desiderio di rappresentare in modo leggero la speranza in quel
contesto di morte e incertezza provocati dallo tsunami postnucleare, che abbiamo
visto in anni recenti nello stesso padiglione. Al passato segue quindi la «speranza
della protezione delle cose di valore rappresentata
dalle chiavi »– dice Chiharu – come mezzo di trasmissione di sentimenti e ricordi, ma
anche di valori tout court,
aggiungerei. Il tutto presentato in una
suggestiva e perfettina messa in scena, che Renato Barilli ha così ben
descritto come «una soluzione brillante, aggraziata ma anche leziosa».
(courtesy Strabismi)
LAST NEWS
Christine Macel, Curatore (sic) capo del Musée national d’art moderne – Centre Pompidou di Parigi,
(courtesy Strabismi)
LAST NEWS
Christine Macel, Curatore (sic) capo del Musée national d’art moderne – Centre Pompidou di Parigi,
è stata nominata Direttore del Settore Arti Visive con lo specifico incarico di curare la 57. Esposizione Internazionale d’Arte che si terrà dal 13 maggio al 26 novembre 2017.