[a cura di Giovanni Bai, Carolina Gozzini, Nicoletta Meroni]
[ INTRODUZIONE. INFO ]
La
Biennale di Venezia 60. Esposizione Internazionale d'Arte Stranieri Ovunque –
Foreigners Everywhere è aperta al pubblico da sabato 20 aprile a domenica 24
novembre 2024 ai Giardini e all'Arsenale e nei padiglioni esterni e progetti
speciali sparsi per la città.
«La
mostra internazionale del Curatore Il titolo della 60. Esposizione è tratto da
una serie di opere realizzate dal collettivo Claire Fontaine a partire dal
2004: sculture al neon di diversi colori che riportano l'espressione "Stranieri
ovunque" in più lingue, espressione a sua volta ripresa dal nome di un
collettivo torinese che nei primi anni Duemila combatteva il razzismo e la
xenofobia in Italia: Stranieri Ovunque. Il contesto dell'opera è un mondo
disseminato di guerre e crisi di varia natura legate al movimento delle persone
attraverso nazioni, territori e confini. Si tratta di crisi che riflettono le
insidie e i pericoli presentati da questioni di lingua, traduzione e
nazionalità, e che a loro volta mettono in luce le differenze e le disparità
governate da identità, nazionalità, razza, genere, sessualità, libertà e
ricchezza. In questo panorama, l'espressione "Stranieri ovunque" assume diversi
significati. In primo luogo, ovunque si vada e ovunque ci si trovi, si
incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo ovunque. In secondo luogo,
indipendentemente dal luogo in cui ci si trova, in realtà e nel profondo si è
sempre stranieri».
Leoni
d'oro alla carriera sono stati attribuiti ad Anna Maria Maiolino e a Nil
Yalter, artista turca (residente a Parigi), Leone d'Oro per la miglior
Partecipazione Nazionale all'Australia
Leone
d'Oro per la miglior Partecipazione Nazionale all'Australia: kith and kin.
«In questo quieto padiglione di grande impatto, Archie Moore ha lavorato per
mesi per disegnare a mano con il gesso un monumentale albero genealogico della
Prima Nazione. Così 65.000 anni di storia (sia registrata che perduta) sono
iscritti sulle pareti scure e sul soffitto, invitando gli spettatori a riempire
gli spazi vuoti e a cogliere la fragilità intrinseca di questo archivio carico
di lutto. In un fossato d'acqua galleggiano i documenti ufficiali redatti dallo
Stato. Risultato dell'intensa ricerca di Moore, questi documenti riflettono gli
alti tassi di incarcerazione delle persone delle Prime Nazioni. Questa
installazione si distingue per la sua forte estetica, il suo lirismo e la sua
invocazione per una perdita condivisa di un passato occluso. Con il suo
inventario di migliaia di nomi, Moore offre anche un barlume alla possibilità
di recupero».
Menzione speciale attribuita alla
Partecipazione Nazionale alla repubblica del Kosovo: The Echoing Silences of
Metallo e pelle. «Piccola ma potente, l'installazione di Doruntina Kastrati fa
riferimento al lavoro industriale femminilizzato e all'usura del corpo delle
donne lavoratrici. Facendo riferimento sia ai gusci di noce utilizzati nelle
delizie turche prodotte in fabbrica, sia alle parti mediche utilizzate per
sostituire le ginocchia delle operaie logorate dalla produzione di questi
dolciumi, le eleganti sculture di Kastrati invitano i corpi degli spettatori a
interagire con loro. Un paesaggio sonoro vibrante viaggia attraverso il
pavimento, risuonando sia nelle nostre ossa che in un'arena più ampia di
attivismo femminista».
Leone d'Oro per il miglior partecipante alla 60. Esposizione Internazionale d'Arte a Mataaho Collective (Nuova Zelanda). «Il Collettivo Maori Mataaho ha creato una luminosa struttura intrecciata di cinghie che attraversano poeticamente lo spazio espositivo. Facendo riferimento alle tradizioni matrilineari dei tessuti, con la sua culla simile a un grembo, l'installazione è sia una cosmologia che un rifugio. Le sue impressionanti dimensioni sono una prodezza ingegneristica che è stata resa possibile solo dalla forza e dalla creatività collettiva del gruppo. L'abbagliante modello di ombre proiettate sulle pareti e sul pavimento rimanda a tecniche ancestrali e fa pensare a usi futuri delle stesse».
Leone d'Argento per un promettente giovane partecipante a Karimah Ashadu, menzioni speciali ai partecipanti: Samia Halaby (Palestina/USA) e La Chola Poblete (Argentina) [Foto Giovanni Bai]
MUSEO TEO E LA BIENNALE. DA VICINO NESSUNO È LONTANO
Nel luglio 2023 Museoteo+ ha presentato il suo progetto Da vicino nessuno è lontano, e così affrontava preventivamente il tema della Biennale: Il curatore Adriano Pedrosa così delineava nel giugno 2023 la 60.ma Biennale Arte di Venezia, ora in corso: "L'espressione Stranieri Ovunque ha (almeno) un duplice significato. Innanzitutto vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri". La Biennale Architettura del 2023, diretta da Lesly Lokko aveva già affrontato il tema in maniera forse più incisiva: "Vedere contemporaneamente vicino e lontano è anche, per dirla con Du Bois e Fanon, una forma di doppia coscienza, il conflitto interno di tutti i gruppi subordinati o colonizzati, che descrive la maggioranza del mondo, non solo laggiù, nei cosiddetti Paese poveri, in via di sviluppo, arabi, ma anche qui, nelle metropoli e nei paesaggi del Nord globalizzato". Certo, la Biennale ha presentato il suo progetto poco prima di noi, ma non ci sentiamo minimamente in seconda fila, visto che operiamo da sempre ai bordi del sistema dell'arte. I mezzi a disposizione sono impari, ma il nostro progetto è sostenuto dalla rete di relazioni creative che sappiamo alimentare e mantenere. I fatti e i luoghi della vita sono i temi centrali attorno a cui ci siamo mossi in questi ultimi anni e i concetti di vicino e lontano sono sorretti dalla consapevolezza che sono i progetti che facciamo per il futuro a tenerci in vita. Gli autori dei contributi e gli artisti in mostra svolgono un lavoro sia relazionale che identitario, lasciano cioè tracce riconoscibili, se non indelebili, di sé e del proprio operare, parlano di viaggi, spostamenti e slittamenti perché ciò che interessa a Museoteo+ sono gli incontri e le relazioni tra le persone e i luoghi.
PICCOLA NOTA, QUASI UN APPUNTO SU LA BIENNALE DI VENEZIA
2024 - STRANIERI OVUNQUE
Un'immersione nel fantastico: cosmogonie e scene di vita
realizzate con un eccelso expertise artigianale, a volte naif, in gran parte
straniero a noi europei. Si gode profondamente della materialità delle opere
esposte alle corderie e della ricchezza, diversità e pluralità dei mondi
narrati. Ma la quantità di queste visioni stordisce e stanca perché capirle,
analizzarle, apprezzarle è troppo impegnativo. L'eccessivo susseguirsi di
realtà dignitosissime, vive e vere svilisce il valore comunicativo e culturale
di ciascuna opera e del suo background. Colpisce invece la narrazione degli
itinerari dei migranti mappati su grandi schermi e guidati solo dalla mano e
dalla voce del protagonista; testimonianza diretta di vite altre ma leggibili e
immediatamente comprensibili da ogni straniero.
UNA BIENNALE FREDDA QUEST'ANNO, MA CALDA NELLA SOSTANZA
Aprile 2024. La temperatura è tornata ad essere invernale. Una Biennale fredda quest'anno, ma calda nella sostanza. Una tendenza più etnografica che artistica, ma anche politica e politicamente corretta. Africa Sud America, Oriente, Paesi Arabi. Un Quay Branly traslato a Venezia. Un musée de l'homme con prodotti (più che opere) che mi riportano alla mente le prime esposizioni universali di fine Ottocento-inizio Novecento, attraverso le immagini in cromolitografia della rivista Arte Italiana Decorativa e Industriale diretta da Camillo Boito, sulla quale ho passato un paio dei miei anni di gioventù. D'altronde l'unità delle arti era già stata espressa con grande magniloquenza dal Barocco. Era stata eliminata la classificazione tra arti maggiori e arti minori ai tempi dell'Encclopédie, poi ribadita durante tutto il secolo successivo da Morris e le Arts and Crafts e dalle varie declinazioni dell'Art Nouveau. Artigianato artistico, arti applicate e dagli anni venti disegno industriale. Ho appena visto la bella mostra su Mendini alla Triennale di Milano, l'architetto "insidiato dalle sirene dell'arte". La rottura dei confini tra le arti è ormai assodata da quando esiste la Biennale. Non ho avuto il piacere di vedere l'ultima Biennale di Architettura ma pare fosse più artistica che architettonica. Mischiamo le carte. Qui alla 60^ Biennale d'Arte, stoffe, cucito, ricami, batik. Il rischio di cadere nel troppo ingenuo e primitivo, a volte naïf, sarebbe stato da prevedere. Ma è previsto, dato il largo spazio ad artisti outsider, folk, indigeni e queer, oltre che ribadito il concetto che, nell'ambito delle Belle Arti, l'artigianato e le tecniche "sono state a volte considerate altre o straniere, estranee o strane" come scrive il curatore brasiliano Adriano Pedrosa. Il titolo Foreigners Everywhere, secondo le intenzioni dello stesso Pedrosa, vuole rimandare alle manifestazioni artistiche dei paesi lontani, lontani dalla cultura occidentale imperante, il sud del mondo. Soprattutto all'Arsenale, di stanza in stanza, è facile indovinare l'area geografica e culturale di appartenenza, prima ancora per fortuna, del singolo stato/nazione e della nazionalità dell'artista. Alcuni artisti immigrati esprimono la loro cultura d'origine attraverso il filtro del paese ospitante. In un momento in cui non voglio sventolare bandiere, non voglio schierarmi, i nazionalismi soffocanti anche in questo ambito stanno stretti. Stranieri ovunque significa che siamo stranieri per gli altri e spesso anche per noi stessi. Dominatori e dominati. Selvaggi e civilizzati. Coloni e colonizzati. Minoranze e maggioranza. Strano e normale. L'altro. Il curatore, brasiliano, ha vissuto la condizione di essere considerato straniero del Terzo Mondo, le sue origini lo portano a vedere con un occhio di riguardo l'arte indigena e popolare. E poi è il primo curatore dichiaratamente queer nella storia della Biennale. Si capisce tutto. Senza farlo apposta finisco di leggere Lo straniero di Camus in treno durante il viaggio di ritorno. Camus è straniero in Algeria, straniero tra i francesi, figlio di umili coloni francesi pieds noirs. Comunista per i conservatori, reazionario per i comunisti. Vive la vita come qualcosa che accade, che capita. È un uomo solo, pur nel rumore dell'umanità varia. Il tema dell'acqua è ricorrente. Come potrebbe non esserlo in una Società Liquida di Baumaniana Memoria. Ma anche il suono, la musica con la sua f luidità. E poi la guerra. La guerra che ci perseguita su più fronti. E le migrazioni forzate o scelte. Il padiglione della Polonia, ad opera di Open Group dal titolo Repeat after me presenta due grandi e coinvolgenti proiezioni video in cui rifugiati ucraini in Polonia ripetono vocalmente i suoni della guerra, sirene, esplosioni, spari. I visitatori possono partecipare come in un inquietante karaoke usando dei microfoni predisposti. Non sono riuscita ad esibirmi. Il padiglione tedesco a cura di Çagla Ilk di origini turche, accoglie i visitatori da un ingresso laterale perché sul fronte dell'edificio c'è un'enorme massa di terra che ostruisce l'entrata, la soglia. Limette.
L'artista israeliana Yael Bartana e il regista tedesco Ersan Mondtag sono gli autori dell'opera dal titolo Soglie (Soglie). Il presente è soltanto un passaggio tra passato e futuro. Una soglia appunto. Un enorme schermo proietta immagini e suoni che evocano viaggi nello spazio, il futuro. Nel grande spazio interno del padiglione, in una sorta di abitazione a più piani con scala interna, è rappresentata una performance con quattro attori che si muovono da uno scantinato simile a un cantiere con tanto di carriola, a un salotto, a una cucina, a una stanza da letto, tutto distrutto, apparentemente disabitato, rivestito di uno strato polveroso da rendere anche l'aria soffocante, fino ad arrivare a una terrazza dove il più anziano si spoglia, rimane nudo, viene poi avvolto in un drappo come una salma, una deposizione alla presenza di due Marie e un San Giovanni, per poi resuscitare e tornare a vivere negli spazi della casa. A ripetere. Il passato, il futuro e il presente come passaggio, come confine temporale e spaziale. Non ho visto, sull'isola della Certosa, il terzo spazio dedicato alla Germania. Purtroppo.
Nel Giappone di Yuko Mori si entra e si sente il profumo di fiori, suoni e rumori. Tubi che convogliano acqua in recipienti e oggetti quotidiani, secchi, padelle, catini, imbuti, ombrelli, damigiane richiamano l'uso giapponese di arginare le perdite d'acqua con quel che si può. Nature morte reali, frutta posata su vecchie credenze è collegata a elettrodi che trasformano gli impulsi in elettricità che accende lampadine e produce suoni. Piacevole. Oltre al Giappone anche la Grecia ha come tema l'acqua e la musica, così come la Francia con l'artista Julien Creuzet originaria della Martinica. I suoi video illustrano simulazioni sottomarine, poi le sculture avvolgenti di fili intrecciati coloratissimi riempiono lo spazio. Non così. Padiglione ancor più colorato quello degli USA, opera dell'artista queer Jeffrey Gibson, indiano d'America, di origini Cherokee e Choctaw. Danze in costume all'esterno uniscono colore al colore. Non è nelle mie corde. È la prima volta che il padiglione statunitense si offre ad un nativo americano. Nativo e queer, più straniero di così!
Gli artisti queer sono diffusamente presenti alle Corderie e nel Padiglione Centrale. Il fronte variopinto del Padiglione Centrale del collettivo brasiliano Mahku con vegetazione e fauna tropicale indigena sicuramente mette allegria, è molto popolo. E sono ancora colore le scritte al neon in lingue diverse del duo Claire Fontaine che danno il titolo a questa biennale. Accolgono all'ingresso dei Giardini e delle Corderie e costituiscono l'installazione sull'acqua alle Gaggiandre davanti al Padiglione Italia. Molte di queste espressioni linguistiche sono idiomi indigeni, alcuni dei quali estinti.
Anche per la Gran Bretagna il regista anglo-ghanese John Akomfrah, attraverso un'installazione multischermo sceglie come canale di diffusione del razzismo, della migrazione, del colonialismo inglese, l'acqua e la musica. Acqua che scorre e inonda oggetti, fotografie, spartiti. Il titolo è Ascoltando tutta la notte la pioggia. Il padiglione di Israele è chiuso ma è allestito. Dalla grande vetrata si vede bene all'interno nonostante il manifesto appeso all'ingresso dichiari che l'artista e i curatori apriranno la mostra soltanto quando ci sarà il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. A questo punto, nessun commento.
Le fotografie di ringhiere metalliche dell'angolano Kiluanji Kia Henda, a sbarrare le finestre in molte città del sud del mondo, sono il filtro della storia sociale di quei luoghi, davanti agli occhi di chi è di qua e di chi è di là delle grate. E poi tanta roba che riempie e non attrae. Padiglione Italia. Due qui/To hear (ascoltare) di Massimo Bartolini con il curatore Marco Cerizza. Nella prima sala o Tesa, una piccola statua di un pensatore buddista è poggiata su una lunga canna d'organo stesa in orizzontale sul pavimento. Nella seconda Tesa ci si aggira tra percorsi labirintici di tubi Innocenti, struttura sempre bella ed elegante, mentre si ascoltano suoni prodotti da due grandi carillon e da grandi canne d'organo in legno. Il suono da lì confluisce nella selva di tubi che si intrecciano e creano prospettive sghembe. Sembra un enorme organo scomposto che diffonde la musica, opera di due giovani musiciste Caterina Barbieri e Kali Malone. La terza Tesa è il giardino dove Gavin Bryars e il figlio Yuri collocano un tappeto sonoro che si diffonde tra il verde circostante. Non ho visto le performance e gli incontri che qui dovrebbero svolgersi. La natura e lo spirito. Bisogna mettersi in ascolto. Leggevo in proposito di un rimando al giardino all'italiana con tanto di fontana centrale che simula il movimento dell'acqua. Può essere. Il rigore e l'eleganza in effetti lo richiamano. Acqua, suono, natura. Tecnica e quindi accordo tra discipline, arti visive, musica, ingegneria.
Bouchra KhaliliLA BIENNALE DEGLI ALTRI
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Il Sole- 24 ore - 20 aprile 2024 LA BIENNALE CHE CI METTE SPALLE AL MURO. O NO? | |
di Angela Vettese Venezia 60. La mostra di Adriano Pedrosa, «Stranieri ovunque», dedicata ad alterità, identità subalterne, minoranze e Sud del mondo ci fa sentire coloniali. È difficile da criticare, eppure induce qualche riflessione |
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