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MTNZ # 16.3.1 London by Nicoletta Meroni


LONDON 2025 di NICOLETTA MERONI

Curiosa di vedere Londra dopo alcuni anni di Brexit, conscia del fatto che Parigi è da tempo più interessante e presenta una proposta culturale e artistica più vivace, Londra è comunque Londra. E in gennaio sufficientemente grigia.

All’apparenza le tappe fondamentali e obbligate presentano mostre non particolarmente allettanti. Ma no, non è vero. È soltanto un momento di cambio, di chiusure e riaperture.

L’architettura contemporanea è firmata dai nomi noti. Lo Shard di Renzo Piano, anche se tutto di vetro, visto da sotto è incombente. Lo Sky Garden del Gherkin di Foster invece è decisamente punto di riferimento del nuovo panorama londinese.

    The Gherkin di Foster


Il recupero e il cambio di destinazione d’uso della Battersea Power Station, ex centrale termoelettrica a carbone, ora centro commerciale con tutto il suo circondario in trasformazione, incanta e sconcerta. Restauro impeccabile, attento e curato nei dettagli, con materiali e strutture originali a vista, sia delle parti Anni Trenta o Deco, sia delle aggiunte degli Anni Cinquanta. Poi però ancora una volta la quantità di negozi e ristoranti all’interno e all’esterno del monumentale edificio, ennesimo inno al business, fa venire un po’ di nausea.

A proposito di adeguamento vecchio/nuovo anche King’s Cross Station è da citare.

King’s Cross Station

La Saatchi Gallery presenta una bella mostra politicamente corretta As we rise. Photography from the Black Atlantic. Opere di artisti neri che documentano la familiarità con la quale i loro soggetti si pongono davanti al fotografo. Spesso guardano in macchina coscienti della ripresa. Un obiettivo non giudicante. Comunità nera, identità e potere sono ritratti al di là dei confini geografici, l’Oceano Atlantico nero come unico confine.

Il premio Saatchi 2024 vede come Overall Winner and Middle East & Africa Regional Winner l’artista e film maker marocchina Hiba Baddou con il video Paraboles. Le parabole del titolo sono le antenne paraboliche che gli attori nel video indossano come cappelli durante il loro rito ma anche le parabole del Vangelo (non nella cultura marocchina), la Parola, il Verbo. In Marocco negli anni ‘80 si diffondono antenne improvvisate fatte con pentole per il couscous per sfidare la censura e diffondere le notizie dei media occidentali. La volontà di fuga verso una nuova vita immaginata, che però riporta ancora una volta alle origini, è resa nel video con una affascinante accuratezza estetica e formale. Meritato.

Alla Tate Britain la bella Mostra The 80’s Photographyng Britain che documenta l’opera dei fotografi inglesi degli anni della Tatcher è ricca e completa e ha un taglio politico. Un’ottima proposta culturale, decisamente utile in un momento storico come quello che stiamo pesantemente attraversando.


                               The 80s Photographing Britain

La grande sala delle turbine della Tate Modern è occupata dall’opera della giovane coreana Mire Lee, Open Wound. Non attraente, forse apparentemente poetica. Poi se si studia si scopre che questi stracci di colore rosa-carne appesi a intelaiature di metallo sono il risultato di un processo meccanico molto complesso. La grande installazione vorrebbe evocare infatti una catena di montaggio di pelle umana ispirata alle condizioni di lavoro durante la rivoluzione industriale. Situazioni lavorative sempre più terribilmente attuali.

All’interno tre mostre temporanee: Zanele Muholi attivista visiva sudafricana. Le sue foto narrano storie di Black LGBTQIA+ dal 2000 a oggi, spesso sono autoritratti come nel lavoro Somnyama Ngonyama, iniziato nel 2012 e tuttora in corso. L’artista colloca se stessa in luoghi diversi con abiti o oggetti dell’ambiente circostante. Storie personali, storia coloniale, apartheid, razzismo contemporaneo. Il bianco e nero bellissimo è fortemente contrastato da creare effetti di luce e lucidità intensa, la pelle diviene ancora più nera.

Electric dreams. Sono opere dagli anni 50 agli anni 90 ispirate a concetti e tecnologie che vanno dalla modellazione della luce all’uso creativo della matematica e degli algoritmi, dalla cibernetica alla comunicazione e alla realtà virtuale. La preistoria di ciò che oggi non siamo più in grado di definire in quanto sopraffatti dall’AI.

 Antony McCall Solid light, presenta delle proiezioni di luce visualizzata tramite il fumo, foto delle performance degli anni ‘70, interazione dello spettatore che si aggira disorientato seguendo coni di luce che esplorano lo spazio e il tempo. Un precoce studio sulla forma della luce e non su ciò che la luce proietta.

 Mike Kelley artista californiano anni ‘70-‘80 usa media diversi, video, pupazzi, oggetti, installazioni. Ghost and Spirit: anche questa una mostra concettuale, politica, che attraverso performance narra la scena femminista degli anni Settanta a Los Angeles con oggetti che cambiano i loro significati. Il tema richiedeva un allestimento caotico che non mi è risultato gradevole, anche se giustificato.

 Molto faticosa la ricerca degli interventi artistici nelle stazioni della nuova metropolitana Elisabeth Line. Opere di dimensioni modeste e per nulla d’impatto come invece nella strabiliante metropolitana di Napoli. Tra gli altri c’è Kusama a Liverpool Street, Chantal Joffe a Whitechapel. A Milano anche nella nuova linea 4 niente arte, tanta pubblicità.

                                                    Chantal Joffe, Elisabeth Line

Alla Serpentine Gallery North i berlinesi Holly Herndon e Mat Dryhurst si avvalgono dell’AI per la comunicazione e il coordinamento. Come il canto corale lo è stato per millenni, in un coro le voci individuali diventano collettive, così questa coppia di artisti usa l’AI per trasformare l’individuo in collettività.

Serpentine Gallery North, Herndon e Dryhurst

Registrando il canto di quindici cori britannici che diventano modelli, data set, hanno creato un’ambientazione simile a una cappella dove lo spettatore interagisce attraverso un microfono e la sua voce a sua volta diventa modello personalizzato di AI. Insomma, molto avanti.

Alla National Gallery molto interessanti i focus a partire da opere della collezione. Oltre alla splendida sala con l’opera del Parmigianino Madonna col Bambino, Giovanni Battista e Gerolamo e i relativi studi e disegni preparatori c’è un accurato studio dell’opera di Constable The Hay Wain: un approfondimento sull’intero percorso artistico dell’artista attraverso i confronti di quest’opera con opere dello stesso Constable, con artisti precedenti che lo hanno influenzato e quelli a lui coevi, e non solo Turner, per giungere all’eredità che ha lasciato ai posteri. Si dipana così tutta la questione del rapporto con la natura, o meglio il rapporto di John Constable con la campagna che amava, la sua terra, il Suffolk. Ecco la veduta emozionata di cui parlava Argan.

National Gallery, Constable, Cloud Study, 1821

 
Al V&A visitando la mostra Naomi in fashion si impara che la top model è un’attivista in difesa delle donne e delle nere in particolare. La si vede accanto a Mandela nei video e nelle bellissime foto di Gettyimages in questa biografia curatissima. Tema frivolo affrontato con serietà.

Il V&A è sempre una garanzia, anche per la mirabile mostra sui manufatti indiani di The Golden Age Mughal 1580-1620 con descrizione accurata della tecnica e dei materiali.


Tanto per stare in tema India chiudo con un giro sulla Brick Lane, oggi sempre più multietnica, che conduce al bellissimo edificio
in adobe sede del Gilbert & George Centre, piacevole sorpresa. Un elegante cancello verde apre la via ai tre spazi espositivi che presentano opere del duo artistico a tema. L’ingresso è gratuito perché Art for all!


G&G Centre