LONDON 2025 di NICOLETTA MERONI
Curiosa di vedere Londra dopo alcuni
anni di Brexit, conscia del fatto che Parigi è da tempo più interessante e
presenta una proposta culturale e artistica più vivace, Londra è comunque
Londra. E in gennaio sufficientemente grigia.
All’apparenza le tappe fondamentali e
obbligate presentano mostre non particolarmente allettanti. Ma no, non è vero.
È soltanto un momento di cambio, di chiusure e riaperture.
L’architettura contemporanea è firmata
dai nomi noti. Lo Shard di Renzo Piano, anche se tutto di vetro, visto
da sotto è incombente. Lo Sky Garden del Gherkin di Foster invece è
decisamente punto di riferimento del nuovo panorama londinese.
A proposito di adeguamento vecchio/nuovo anche King’s Cross Station è da citare.
![]() |
King’s Cross Station |
La Saatchi Gallery presenta una bella mostra politicamente corretta As we rise. Photography from the Black Atlantic. Opere di artisti neri che documentano la familiarità con la quale i loro soggetti si pongono davanti al fotografo. Spesso guardano in macchina coscienti della ripresa. Un obiettivo non giudicante. Comunità nera, identità e potere sono ritratti al di là dei confini geografici, l’Oceano Atlantico nero come unico confine.
Il premio Saatchi 2024 vede come Overall
Winner and Middle East & Africa Regional Winner l’artista e film maker
marocchina Hiba Baddou con il video Paraboles. Le parabole del titolo
sono le antenne paraboliche che gli attori nel video indossano come cappelli
durante il loro rito ma anche le parabole del Vangelo (non nella cultura
marocchina), la Parola, il Verbo. In Marocco negli anni ‘80 si diffondono antenne
improvvisate fatte con pentole per il couscous per sfidare la censura e
diffondere le notizie dei media occidentali. La volontà di fuga verso una nuova
vita immaginata, che però riporta ancora una volta alle origini, è resa nel
video con una affascinante accuratezza estetica e formale. Meritato.
Alla Tate Britain la bella Mostra The
80’s Photographyng Britain che documenta l’opera dei fotografi inglesi
degli anni della Tatcher è ricca e completa e ha un taglio politico. Un’ottima
proposta culturale, decisamente utile in un momento storico come quello che
stiamo pesantemente attraversando.
The 80s Photographing Britain
La grande sala delle turbine della Tate Modern è occupata dall’opera della giovane coreana Mire Lee, Open Wound. Non attraente, forse apparentemente poetica. Poi se si studia si scopre che questi stracci di colore rosa-carne appesi a intelaiature di metallo sono il risultato di un processo meccanico molto complesso. La grande installazione vorrebbe evocare infatti una catena di montaggio di pelle umana ispirata alle condizioni di lavoro durante la rivoluzione industriale. Situazioni lavorative sempre più terribilmente attuali.
All’interno tre mostre temporanee:
Zanele Muholi attivista visiva sudafricana. Le sue foto narrano storie di Black
LGBTQIA+ dal 2000 a oggi, spesso sono autoritratti come nel lavoro Somnyama
Ngonyama, iniziato nel 2012 e tuttora in corso. L’artista colloca se stessa
in luoghi diversi con abiti o oggetti dell’ambiente circostante. Storie
personali, storia coloniale, apartheid, razzismo contemporaneo. Il bianco e
nero bellissimo è fortemente contrastato da creare effetti di luce e lucidità
intensa, la pelle diviene ancora più nera.
Electric dreams. Sono opere dagli anni ‘50 agli anni ‘90 ispirate a concetti e tecnologie che vanno dalla modellazione della luce all’uso creativo della matematica e degli algoritmi, dalla cibernetica alla comunicazione e alla realtà virtuale. La preistoria di ciò che oggi non siamo più in grado di definire in quanto sopraffatti dall’AI.
Alla Serpentine Gallery North i
berlinesi Holly Herndon e Mat Dryhurst si avvalgono dell’AI per la
comunicazione e il coordinamento. Come il canto corale lo è stato per millenni,
in un coro le voci individuali diventano collettive, così questa coppia di artisti
usa l’AI per trasformare l’individuo in collettività.
![]() |
Serpentine Gallery North, Herndon e Dryhurst |
Registrando il canto di quindici cori britannici che diventano modelli, data set, hanno creato un’ambientazione simile a una cappella dove lo spettatore interagisce attraverso un microfono e la sua voce a sua volta diventa modello personalizzato di AI. Insomma, molto avanti.
Alla National Gallery molto interessanti i focus a partire da opere della collezione. Oltre alla splendida sala con l’opera del Parmigianino Madonna col Bambino, Giovanni Battista e Gerolamo e i relativi studi e disegni preparatori c’è un accurato studio dell’opera di Constable The Hay Wain: un approfondimento sull’intero percorso artistico dell’artista attraverso i confronti di quest’opera con opere dello stesso Constable, con artisti precedenti che lo hanno influenzato e quelli a lui coevi, e non solo Turner, per giungere all’eredità che ha lasciato ai posteri. Si dipana così tutta la questione del rapporto con la natura, o meglio il rapporto di John Constable con la campagna che amava, la sua terra, il Suffolk. Ecco la veduta emozionata di cui parlava Argan.
![]() |
National Gallery, Constable, Cloud Study, 1821 |
Al V&A visitando la mostra Naomi
in fashion si impara che la top model è un’attivista in difesa delle donne
e delle nere in particolare. La si vede accanto a Mandela nei video e nelle
bellissime foto di Gettyimages in questa biografia curatissima. Tema
frivolo affrontato con serietà.