VIDEOZINE


MTNZ # 11_16 STANFORD

Due gioielli della Silicon Valley: il Papua New Guinea Sculpture Garden e il Palo Alto Art Center. Promosso dalla facoltà di Antropologia dell'Università di Stanford, il giardino delle sculture realizzate da artisti delle comunità della valle del fiume Sepik in Papua-Nuova Guinea si presenta come un boschetto quasi nascosto nell'area del campus dell'università, ad accesso completamente libero.
Una vera foresta di grandi sculture lignee - affiancate da sculture in pietra pomice - dove si intrecciano figure umane e animali, esseri magici, pattern e motivi ancestrali che illustrano storie di clan e miti della creazione creata sul posto nel 1994 da una decina di maestri intagliatori di età compresa tra i 27 e i 73 anni.



 Il Palo Alto Art Center è un attivissimo centro di produzione e diffusione culturale, che offre una varietà di corsi e seminari, ma anche una serie di interessanti mostre, come PLAY (settembre - dicembre 2017).
A partire dal concetto che "La capacità di giocare è fondamentale non solo per essere felici, ma anche per sostenere le relazioni sociali ed essere una persona creativa e innovativa" (Stuart Brown), i curatori  Selene Foster and Andrea Antonaccio hanno voluto mettere in rilievo come il gioco sia ormai riconosciuto come una forma essenziale di lavoro intellettuale per bambini e adulti, nonché un percorso per la produttività creativa e il benessere sociale. Le coinvolgenti Silver Clouds (*) di Andy Warhol e Billy Kluver e la punballmachine di William T. Wiley sono state immaginate come strumenti di gioco. L'artista di Berlino Hans Hemmert utilizza palloncini, u per costruire un castello che lentamente si sgonfia a malapena contenuto dalle pareti della galleria. Dana Hemenway e Terry Berlier trasformano gli oggetti quotidiani in oggetti di gioco, mentre Robert Burden e Nils Volker usano immagini familiari per recuperare la meraviglia che hanno vissuto da bambini.



(*) Nel suo libro Infrasottile. L’arte contemporanea ai limiti (2018) Elio Grazioli, parlando dell’estetica warholiana e della sua strategia di “rielaborazone pop delle componenti formali dell’arte”, cita le “sculture volanti le Silver Clouds (1966) che galleggiano in aria e vanno a confondersi con gli altri oggetti” tra le modalità “che restano dentro all’arte e alle sue categorie, mettendole tuttavia in forse, interrogandole, portandole al limite nella sovrapposizione invece che nella depurazione formalista moderna”.